Consuelo Scameroni: il basket? È stata la mia vita

A 14 anni l'esordio in A2 col Cus Cagliari, a 20 l'A1 a Vicenza e la Coppa Ronchetti. Oggi trasmette alle giovani tutta la sua passione ed esperienza.
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I bravi allievi spesso diventano buoni maestri. Consuelo Scameroni fa parte di quel sistema sano della pallacanestro isolana all’interno del quale ha avuto l’opportunità di imparare, mettere a frutto e poi insegnare agli altri tutto un bagaglio di saperi ed esperienze.

Consuelo cresce con Aldo Pilia e Marcello Lobina, due allenatori che le insegnano le basi della palla a spicchi e che la fanno appassionare. “Ceppina” doc, inizia nella cantera dell’Astro Cagliari mentre a dodici anni indossa la maglia del Cus Cagliari, dove svolge tutta la trafila giovanile.

 “A quattordici anni mi buttano in prima squadra” ed esordisce in A2.

Da lì sarà un crescendo di successi ed emozioni: Consuelo si distingue e viene convocata nella nazionale italiana giovanile. “Conservo ancora ogni lettera di convocazione”. Disputa tornei e qualificazione europee, anche da protagonista. A vent’anni il grande salto in A1 e per la prima volta lontano da casa e da una famiglia numerosa, a cui è sempre stata legata. Per questo l’annata ’91-92 sarà l’unica nello stivale ma lascerà il segno, in maglia Vicenza, dove disputa anche la Coppa Ronchetti.

“Ero già grande per giocare nel massimo campionato italiano – ammette Scameroni -. Vicenza e molte altre squadre avevano serbatoi con ragazzine che molto più giovani di me avevano esordito in A1. Ho avuto altre proposte poi, per esempio da Priolo, ma non mi hanno convinto e sono tornata perché mia padre se ne stava andando…

Stare in Sardegna mi ha limitato, ma non ho rimpianti. Ricordo sempre quello che mi aveva detto un selezionatore nazionale: se resti nell’Isola non ti convoco. E infatti non sono mai stata convocata in nazionale maggiore“.

La carriera continua col Cus in A2, tra promozione e retrocessioni e con coach Nello Schirru si salda un rapporto profondo. “Lui stravedeva per me eppure non me le mandava certo a dire, non ho vergogna a dire che piangevo dopo gli allenamenti ma questa è una cosa che mi ha fatto anche bene. In generale, ho sempre avuto un buon rapporto con gli allenatori, mi insultavano però mi spronavano anche nel momento giusto, e ho sempre cercato di prendere da loro le cose migliori”. Memorabile, con coach Schirru, la promozione in A2 con il GSO Basket Elmas, dove Consuelo termina la carriera. Smette a 36 anni tra “lavoro, figlio e problemi fisici”. Così si dedica, con arte e passione, ad allenare. “Mi ha aiutato a non sentire la mancanza del basket giocato. Perché il basket per me è stata la mia vita, tutti quegli anni e quelle ore passate in palestra mi hanno assorbito, forgiato. Per questo, le mie prime partite da allenatrice sono state quasi comiche, perché entravo in campo, passavo la palla. Per fortuna gli arbitri mi conoscevano…”

Consuelo adesso offre tutta la sua pazienza e passione in casa Astro, in un gruppo misto del 2010 e a capo di una squadra under 17 femminile: “devo essere sincera, il minibasket mi piace di più del settore giovanile, perché mi dà la possibilità di lavorare molto sui fondamentali. D’altra parte, ho la fortuna di allenare ragazze futuribili come Giorgia Corso (2006) e Anna Loddo (2005). Penso che quest’annata sia la migliore in Sardegna, e molte altre buone squadre nell’Isola ci fanno compagnia. Vista la moria generale, è una buona notizia. Dobbiamo essere bravi noi coach a stimolare i giovani a farli continuare a giocare. Ai nostri tempi esisteva solo la pallacanestro, capisco che non sia facile per loro, iperstimolati e con troppi svaghi, troppi impegni!”. Tra le ragazze che ha allenato c’è anche Federica Madeddu, giovane talento in forza al Cus Cagliari in A2. E non poteva mancare suo figlio Ricky – in forza all’Esperia in serie C: “l’ho buttato sul campo ad appena sei mesi e spesso veniva in trasferta con me. Era bello vederlo sugli spalti a fare il tifo per la mamma. L’ho allenato sino ai dodici anni poi ha preso la sua strada, non ho mai aspirato ad avere un campione ma solo che si appassionasse a questo fantastico sport e che capisse il valore e i sacrifici che comporta uno sport di squadra”.