Caro Basket,
descrivere quello che rappresenti per me è facilissimo: semplicemente tutto! E non è un modo dire, credetemi.
Perché quello che è iniziato per puro gioco si è evoluto in una passione smisurata per poi diventare, infine, il mio lavoro.
Questo sport racchiude in sé una vita intera fatta di gioie, delusioni, successi, ostacoli, sconfitte, amicizie, sacrifici e, soprattutto, tanto divertimento.
Il mio approccio con il basket è stato immediato. Sono stato il classico bambino che ha imparato prima a palleggiare che a camminare, dato che i miei genitori mi hanno portato all’Esperia quando ancora dovevo compiere 4 anni.
Né mia madre né mio padre avevano mai giocato a basket, ma in quegli anni, diciamo la metà degli ’80, la prima squadra era allenata da Paolo Manca, cugino di mio padre. E così la passione che si respirava in quel periodo aveva travolto anche loro spingendoli a scegliere per me la pallacanestro.
I primi anni del settore giovanile sono stati puro divertimento. Ricordo come fosse ieri la fretta nel fare i compiti per arrivare al campo il prima possibile, le tante amicizie, le infinite finali contro la Dinamo Sassari e le prime vere soddisfazioni sportive.
A 15-16 anni il primo salto importante. Le annate 1982-83 passarono dall’Esperia alla Pallacanestro Cagliari, che partecipava al campionato di Serie B2.
Qui il ricordo va subito agli eccezionali compagni di viaggio: Michele Mastio, Roberto Pintor, Daniele Ganguzza. Eravamo tutti estremamente diversi in campo, ma allo stesso tempo incredibilmente compatibili. Giocavamo con il pilota automatico, ci trovavamo ad occhi chiusi. Ci siamo ritrovati tutti assieme, con la stessa passione e la stessa ambizione. Ognuno di noi era uno stimolo per l’altro ed eravamo davvero imbattibili.
In quegli anni la serata era un continuo alternarsi tra studio e basket. Non c’era altro. Mentre gli amici uscivano la mia cantilena era sempre e solo una: “Non posso, ho allenamento”.
Tutto questo però non è mai pesato. A16 anni esordivamo in B2, a 17 in B1, mentre a 18 eravamo in campo con grande responsabilità e parecchio minutaggio ancora in B2.
Dopo il fallimento della Pallacanestro Cagliari tornai all’Esperia, dove per 4 anni ebbi la possibilità di misurarmi in C1. Fu davvero emozionante tornare alle laddove tutto ebbe inizio, peraltro con i gradi di capitano a soli 20 anni.
In seguito alla rinuncia dell’Esperia alla C1 mi trovai a prendere un’altra strada.
Dopo una bellissima parentesi alla Superga approdai all’Olimpia, ed è come se quell’anno si fosse automaticamente tracciata una linea. Arrivai come un normale ragazzo di 24 anni, ma le vicissitudini della vita mi fecero diventare improvvisamente uomo. Proprio durante quella stagione l’improvvisa scomparsa di mio padre mi fece capire di aver fatto la scelta più giusta della mia vita cestistica. Persone con le quali avevo un rapporto di semplice stima si trasformarono in una meravigliosa famiglia.
Anni fantastici, quelli dell’Olimpia, condivisi con compagni speciali. Con Michele Mastio, Chicco Peretti, “Poppi” Schiffini creammo uno zoccolo duro e, partendo dalla vittoria del campionato di C regionale, intraprendemmo un bellissimo viaggio culminato con la conquista della Serie B.
Purtroppo un brutto infortunio mise fine al mio divertimento più grande a “soli” 32 anni.
Il fatto di aver già iniziato parallelamente ad allenare nel settore giovanile rese però meno traumatico quel distacco e fece sì che mi dedicassi totalmente alla nuova avventura.
Il merito assoluto per aver potuto intraprendere questa strada è stato di Claudio Corsi. Posso dire senza il minimo dubbio che allenare è diventato il mio lavoro grazie a lui. I risultati che ha ottenuto li conoscono tutti. Sono stato suo giocatore all’Olimpia e vi assicuro che ha davvero una marcia in più rispetto agli altri. Il suo modo di vivere il campo, di vivere questo sport, è travolgente. Un treno che viaggia ad altissima velocità. Se sali a bordo ti assicuri un percorso irripetibile. In qualsiasi categoria, che sia una prima squadra o una categoria giovanile, non ho mai visto tanta passione messa dentro un campo da basket. Credo che ogni allenatore durante il proprio percorso possa cambiare, aggiungere qualcosa, imparare e migliorare. Ma devi avere qualcosa dentro che ai corsi non ti possono insegnare. E Claudio in questo è il numero uno. Continuare tutt’oggi a confortarmi con lui è un piacere. Pur avendo ogni tanto punti di vista diversi si trova sempre un punto in comune. Forse perché parliamo la stessa lingua.
Da allenatore ho avuto la fortuna di allenare da subito in un contesto competitivo, squadre ottime con ragazzi validi. Le soddisfazioni sono arrivate da subito. Il primo campionato vinto con i ragazzi del 2001 (Under 14) al mio primissimo anno e altri titoli regionali successivi. Nei primi anni ricordo inoltre con grande piacere l’esperienza delle finali nazionali a Bormio e le partecipazioni al Trofeo delle Regioni con la rappresentativa sarda.
Nel 2016 l’unione di Esperia e Olimpia ha segnato un altro passo fondamentale per la mia crescita.
Riunire due realtà così importanti, ma sportivamente rivali durante gli anni passati, ha rappresentato una sfida difficile ma stimolate e ha tracciato una chiara via per il futuro.
Nell’estate del 2017 passa un altro treno importante: sbarca in città la Cagliari Dinamo Academy, e ho la fortuna di partecipare a questo progetto come assistente, assieme a Gigi Usai, di Riccardo Paolini: un altro tassello fondamentale per la mia crescita.
Diciamo che se hai la fortuna di lavorare con Paolini per un anno e mezzo e non diventi un allenatore migliore, allora c’è qualche problema.
Ricordo ancora la prima telefonata: Io, che mi apprestavo ad affrontare un’esperienza più grande di me, ero quasi intimorito ma Riccardo ha saputo mettermi subito a mio agio. Ricordo ancora l’educazione e la cortesia nella conversazione.
Ha instaurato da subito un rapporto paritetico e mi ha sempre trattato come un allenatore navigato. Mai un atteggiamento di superiorità, ma l’incentivo e lo stimolo continuo al confronto.
Mi occupavo dell’analisi video. Analizzavo l’ultima nostra partita per mettere in evidenza aspetti positivi e negativi sui quali lavorare meglio non settimana, guardavo le partite dei prossimi avversari e montavo i video sui loro giochi d’attacco, le difese, le caratteristiche individuali dei loro giocatori.
Richi non è un tipo particolarmente tecnologico, quindi non si è trattato di un lavoro semplicissimo.
Tra l’altro avevamo avevamo anche orari molto differenti.
Riccardo si svegliava all’alba e iniziava a lavorare prestissimo. Io invece finivo la sera tardi con gli allenamenti del settore giovanile e della Serie C. L’unico modo per far trovare il lavoro pronto la mattina presto, dunque, era fare le ore piccole.
Nel primo anno non sono mai andato a letto prima delle 4-5 del mattino. Finivo il montaggio video e lo inviavo in modo che Riccardo dalle prime ore del mattino potesse iniziare lavorarci sopra.
Un lavoro impegnativo che non ha mai rappresentato un sacrifico, perché è parte del mio lavoro che amo, e soprattutto perché mi faceva conoscere e scoprire tante cose nuove.
Riccardo poi non si limitava a guardare il video e a trovare le soluzioni. Ci si confrontava su come difendere su ogni singolo gioco. Un lavoro di squadra dove ognuno dello staff si sentiva parte integrante.
Da subito mi ha dato grande responsabilità e mi ha spinto a credere in questo lavoro. È stato un esempio quotidiano. In campo era un martello, sempre attento ad ogni cosa, meticoloso e carismatico. Era molto esigente con me e con i ragazzi.
Ti spingeva a dare il massimo in ogni situazione ma con una personalità tale che, fosse stato necessario, non avrei dormito neanche un’ora per lui.
Non avevo nessuna esperienza e avrei sicuramente voluto aiutarlo di più. Ma l’impegno è stato massimo, e sono convinto che lui abbia comunque apprezzato.
Un allenatore di una bravura assoluta ma, ancora più importante, una persona unica.
L’annata successiva è proseguita poi con Alessandro Iacozza, altro grande professionista e persona eccezionale con cui abbiamo raggiunto una difficilissima salvezza.
Al termine della seconda stagione si è chiusa questa avventura con il titolo sportivo sposato a Torino.
Ovviamente il dispiacere è stato grande. Quando pensavi di avere una strada tracciata per il tuo proseguo delle carriera è dura dover improvvisamente rinunciare.
Le strade in questi casi sono due: piangersi addosso per un’occasione persa, oppure rimboccarsi le maniche e ripartire con lo stesso entusiasmo.
E percorrere questa seconda via è stato facilissimo avendo il supporto di due società così importanti come Esperia ed Olimpia, che ragionano come te e che hanno la stessa ambizione e gli stessi obiettivi.
Da due anni ho ricevuto l’incarico di responsabile del settore giovanile di entrambe le società e di allenatore della serie C dell’Esperia.
Il progetto ormai è concreto, e dopo i primi anni di “studio”, di approccio, ora parliamo la stessa lingua, ragioniamo come un’unica società, con un unico intento e obiettivo. Un’unica famiglia. Siamo riusciti a creare uno staff composto da allenatori professionisti e di grande competenza. Abbiamo tantissimi ragazzi iscritti, bravi, appassionati e devono essere loro al centro del nostro progetto. Stiamo realizzando importanti iniziative come i camp di specializzazione e l’Academy per coniugare sport e scuola. Tutto per garantire la loro formazione migliore possibile.
È un argomento sensibile e ci tengo particolarmente perché ero uno di loro: un ragazzo con tanti sogni nel cassetto che ha dedicato la maggior parte del suo tempo per provare a realizzarli.
Adesso spetta a loro sognare. E sapere che sono quotidianamente in campo con loro mi carica di responsabilità, ma mi ricorda che faccio il mestiere che amo. E al tempo stesso mi convince che il basket accompagnerà la mia vita ancora a lungo.
Federico Manca