Nando Mura, 40 anni di giornalismo sportivo

Un maestro e un libro aperto. I suoi racconti e aneddoti sui grandi protagonisti dello sport: Gigi Riva, Meo Sacchetti, Roberta Serradimigni.
https://www.basketland.it/wp-content/uploads/2021/09/tra-Sutter-e-Riva-1280x739.jpg

Nando Mura ha visto cambiare società, tecnologie, redazioni. Ha in cantiere un libro sulla storia del basket sardo ma potrebbe scriverne molti altri. Ha iniziato il mestiere del giornalista negli anni ’70, in un momento in cui «la Sardegna non era un’isola, era uno scoglio. La gente non sapeva dove fosse. Quando nel ’63 Gigi Riva ha iniziato a giocare nel Cagliari Calcio, ho contato ventuno sequestri di persona, ovvero due al mese. Erano gli anni feroci del banditismo. E propio l’avvento di Riva e aggiungo della Costa Smeralda, hanno cambiato per sempre l’immagine della Sardegna nel mondo».

Con Riva è nato nel tempo un rapporto di amicizia…

«Sì, che custodisco gelosamente, tanto che ho scritto una biografia su di lui, ma non l’ho mai pubblicata. Se avessi dato in pasto al pubblico le sue confidenze probabilmente non sarei qui, ma avrei perso un amico. Per anni sono stato il suo ghost-writer, e questo per me è un attestato di stima nei miei confronti. Con lui ho un rapporto diretto e di fiducia reciproca, come lo conservo tuttora con Meo Sacchetti, di cui sono co-autore nel suo libro (Il mio basket è di chi lo gioca, ADD editore). Lui ugualmente mi ha raccontato cose che poi non ho scritto. E da questo punto di vista, penso di aver fatto sempre la scelta giusta».

Quando hai iniziato la carriera giornalistica?

«Era il 1976, e sai perché? Mi ero rotto malamente il ginocchio, avevo 22 anni. Giocavo a basket, ho dovuto smettere. Ho anche allenato poi. È vero quando dicono: “la vita toglie, la vita ti dà”. Perché tra le ragazze che ho allenato ho incontrato mia moglie, Carmen. Conosceva bene Roberta Serradimigni, e quando veniva a Cagliari dormiva a casa nostra. Mi commuovo ancora, quando la ricordo. Ma forse sto divagando…».

Assolutamente no! Raccontaci quegli anni….

Tra gli anni ’70 e ’80 Cagliari ha attraversato un momento sportivo magico, con due grandi protagonisti: Riva nel calcio, Sutter nel basket. C’era la Brill, ed io ho iniziato proprio facendo lo scout per la storica società di pallacanestro che aveva raggiunto la massima serie. Siccome i giornali di fuori li chiedevano, ho iniziato a scrivere le cronache delle partite e li inviavo via fax alle varie testate. Erano i tempi delle radio libere e pirata, io avevo iniziato con la Voce Sarda, il primo TG ad andare in onda alle 7 del mattino, poi assorbita da Rete 4. Dal ’77-78 inizio a collaborare con l’Unione Sarda, nel frattempo ho visto cambiare le tecnologie. Avevo la montanelliana Olivetti 22. Ricordo che il pezzo veniva corretto da cinque colleghi, e capitava che i capi servizio ti stracciassero il foglio se l’articolo non fosse di loro gradimento. Quindi bisognava riscriverlo, ripulirlo. Personalmente devo la mia assunzione al titolo mondiale dell’82 del calcio. Pensate che prima l’Unione faceva solamente una pagina al giorno di sport, mentre il sabato due. Nei confronti dello sport non c’era attenzione, ma quel successo ha dato una svolta al giornalismo sportivo. Ho trascorso 40 anni all’Unione Sarda e ho visto cambiare tutto. Negli anni ’90 sono arrivati i primi cellulari, Internet e i social network hanno portato una grande rivoluzione culturale. Adesso chiunque tramite i social può dare notizie, ma non son tutti giornalisti».

Quali sono i colleghi che ricordi con più piacere?

Sicuramente Gianni Brera e Gianni Mura sono stati dei grandi riferimenti. Maria Paola Masala, che è stata la prima giornalista iscritta all’albo dei professionisti della Sardegna, è una cara amica. Ricordiamo anche che nel 1976 era impensabile trovare una giornalista sportiva donna. Vigeva un pregiudizio molto fastidioso, invece sono grato perché la presenza delle donne nel giornalismo ha portato freschezza, pulizia, novità nel linguaggio, e molte hanno la magia del racconto. Devo ammettere che vige ancora un maschilismo strisciante. C’è difficoltà ad abbracciare le diversità. Per esempio, negli anni ’70 le persone con handicap non uscivano di casa. Invece un’altra grande novità sono state le Paralimpiadi, di cui la prima edizione nel 1976.

Com’è cambiato il rapporto tra il giornalista e le società sportive?

Quasi in toto! Soprattutto nel calcio, bisogna passare dietro mille filtri, non c’è spontaneità, non si riesce a instaurare un rapporto. Io mi allenavo col Cagliari calcio! Seguivo la preparazione con loro, ho ancora i lividi da una botta che ho preso in allenamento! Nel basket invece si può ancora consolidare un certo rapporto con lo staff e i giocatori, puoi ancora entrare negli spogliatoi. Inoltre adesso per far un passo in avanti bisogna sapere l’inglese.

Quali sono i consigli che daresti ad aspiranti e giovani giornalisti?

Il mio consiglio sulla scrittura giornalistica è semplicemente questo: scrivere con oggetto, verbo, complemento. Fine. Privilegiate il linguaggio semplice, preferite l’italiano ai termini in inglese. E soprattutto concentratevi sulla prima frase: deve invogliare la lettura. La maggior parte delle persone finisce di leggere un pezzo solo se la prima fase è accattivante.