Ha festeggiato da poco i 60 anni l’unica, ad oggi, Olimpionica sarda: Nunzia Serradimigni.
Aveva 20 anni quando partecipò ai Giochi Olimpici di Mosca del 1980, quelli del boicottaggio americano per l’invasione sovietica dell’Afghanistan. «Per questo, non avevamo potuto partecipare alla sfilata», ricorda Nunzia, che ammette: «Ero molto piccola, non mi ero resa conto realmente dell’importanza di ciò che si stava facendo. Ero molto attratta da quello che si viveva nel Villaggio, c’era la palazzina Italia, dove incrociavi Pietro Mennea e Sara Simeoni che avevano vinto l’oro. Andavamo a tutte le partite della Nazionale maschile di basket, dovunque mi girassi c’era un campione di qualche sport». Il piazzamento finale fu il 6° posto, ma la grande fatica era stata fatta precedentemente al Pre-Olimpico in Bulgaria. «Avevano partecipato 35 nazioni, di queste ne passavano solo 5. Diciamo che la vera impresa è stata quella! Abbiamo passato tanto tempo in Bulgaria, che a quel tempo era almeno 40 anni indietro rispetto a noi. È stato molto faticoso, tanto che siamo arrivate alle Olimpiadi col fiato corto». Con la Nazionale Nunzia annovera 28 presenze e 108 punti. Una carriera a cui ha rinunciato troppo presto per un problema all’occhio.
Da Sassari a Mosca Nunzia ci è arrivata facendo di una passione un lavoro, fin da quando era adolescente. Si fa subito notare tra le fila del Sant’Orsola, che giocava in serie B nazionale, e a 16 anni riceve la chiamata dell’Algida Roma in serie A. È anche la prima sportiva sarda ad andare a giocare fuori di casa. Nel 1980 sfuma il sogno di conquistare lo scudetto per un solo punto, nello spareggio contro la FIAT Torino. Nel 1984 vince la Coppa Ronchetti con Roma e nel 1991 la rivince, stavolta con la casacca della Gemeaz Milano, insieme a Cinzia Zanotti, oggi allenatrice della Geas Milano. Un anno vince con Avellino la classifica degli assist. Gira l’Italia, è ben pagata e le capitano le situazioni più assurde. «A Bari, ma fu un caso eccezionale perché il presidente del club di allora era veramente ricco, la squadra viaggiava con l’aereo privato. Peccato che avessi terrore dell’aereo, perciò raggiungevo le mie compagne in trasferta su un macchinone dove erano disponibili i primi enormi cellulari. Facevo lunghe chiacchierate con mia madre», racconta divertita. «Un’altra volta, a Milano, mi avevano incaricato di vestire la squadra. Non ci ho pensato due volte e sono andata dritta da Max Mara a prendere i cappotti per tutte!»
Nel 1992, a trentadue anni, Nunzia smette di giocare. La sorella, Roberta, muore nel ‘96 in un incidente stradale. «Se dovessi sintetizzare il nostro rapporto in due parole? Amore folle. Ero la sua sorella maggiore. Mi aveva raggiunto a Roma che aveva 14 anni, mi sentivo responsabile per lei. Litigavamo anche, certo, tra sorelle è normale. Ogni sera ci sentivamo al telefono».
Quell’anno Nunzia torna in Sardegna e dopo qualche anno inizia un’altra vita, sempre dedicata al basket, ma per il basket. Inizia, casualmente, ad allenare. Da qualche anno si dedica solo al minibasket, mentre prima seguiva anche i campionati giovanili. «Per allenare i giovani di oggi ci vuole molta passione e serietà, ma anche tanto studio. Bisogna aggiornarsi sempre. La sfida più grande è quella di farli innamorare di questo sport, tenendo conto che hanno mille altre distrazioni. Riuscire a tenerli in palestra è arduo, per questo è fondamentale sapersi rapportare con loro». Tra i tanti piccoli giocatori è passato sotto il suo occhio anche Marco Spissu, sul quale non vuole prendersi alcun merito: «Quello che è Marco è merito di Marco. Sono una sua grande tifosa». Qualche anno fa ha fatto parte di diverse spedizioni azzurre della Nazionale giovanile femminile, mentre di allenare le squadre senior non ha mai avuto intenzione.
La giocatrice a cui si è più ispirata è stata Lidia Gorlin (vincitrice di 10 scudetti e 6 Euroleghe, fa parte dal 2011 dell’Italia Basket Hall of Fame), mentre tra le atlete di oggi segnala Cecilia Zandalisini e le giovanissime e talentuose Alessandra Orsili e Matilde Villa. Tra le giocatrici sarde, indica come erede Beatrice Carta (da qualche anno a Barcellona). Scontato chiederle in definitiva cosa ha rappresentato il basket per lei: «La mia vita, prima e dopo Roberta, il mio lavoro, le persone a cui tuttora sono legata. Sarò sempre grata al basket».