Golden State Warriors: guerrieri anche del marketing

Non solo basket: l'NBA è una macchina da soldi e gli Warriors un brand potentissimo.
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L’adrenalina inizia appena ti unisci al pellegrinaggio verso il Chase Center dei fans e semplici (e non) appassionati di basket. La maggior parte griffati di ogni tipo di merchandising dei Golden State Warriors: magliette, felpe, cappellini, giubbotti. Nei vari shop – il più grande è proprio adiacente al Palazzetto – si può comprare di tutto: dai portachiavi agli asciugamani fino alle tazze e ai taglieri!

Non si fa in tempo a guardarsi intorno che una banda di studenti del college inizia a suonare, mentre inizia la fila ai cancelli. Uno schermo gigante ti carica ancora di più, mentre si alternano messaggi pubblicitari e scene di gioco che ti ricordano che gli warriors sono stati campioni del mondo sei volte (gli anelli son stati vinti nel 1947, 1956, 1975, 2015, 2017 e 2018).

Una volta entrati al Chase Center, è una Mercedes di tutto punto a dare il benvenuto al parco giochi. C’è chi si dirige subito a bere qualcosa, chi si dirige verso le cibarie varie (la scelta è ampia, dagli hamburger alla pizza a tacos e burritos). La birra ufficiale della squadra – la Dubs Golden Lager – e la messicana Modelo che sponsorizza ugualmente Curry e company costano 17 dollari. Qualsiasi cosa costa, e tanto. A partire dal biglietto. Noi abbiamo visto Golden State – Dallas Mavericks. Prezzo: 300 euro. Una follia, ma siamo in una delle città più care del mondo: San Francisco.

Lo spettacolo è in ogni caso garantito, e va oltre quello che accade sul parquet. Dalla sofisticata preparazione di Steph Curry ai siparietti tra Luka Doncic e Boban Marjanovic, all’inno nazionale cantato dal famoso di turno, fino alla presentazione delle squadre con tanto di fuochi d’artificio e intermezzi di danza vari. L’NBA è questo: soprattutto entertainment. E marketing. La partita è un plus, ma è un rammarico non vedere in azione Klay Thompson, Draymond Green e Andre iguodala. Sarà per la prossima. La partita che abbiamo visto ha l’epilogo che non ti aspetti: l’eleganza e la velocità del gioco dei Golden State è goduria tecnica pura. La difesa esemplare, l’attacco una macchina studiata alla perfezione che porta al canestro anche con extra-pass. Nonostante le assenze pesanti, gli Warriors si portano subito avanti di venti punti. Dall’altra parte però non c’è solo Luka Doncic, che comunque metterà a segno i canestri decisivi, ma quattro scappati di casa che hanno la faccia tosta di crederci fino all’ultimo e che soprattutto non vedono l’ora di fare lo scherzetto ai campioni del mondo. A vederli dal riscaldamento sembrano dei ragazzi in gita scolastica. Doncic i primi tiri che prende sono solo da oltre i tre e senza ritmo, e anche un po’ scazzato: entrano tutti. Non fa corsette né scatti: passeggia, tira, fa scherzi e si fa massaggiare. E quel sorriso beffardo lo terrà per tutta la partita, anche se all’inizio si lamenta dei falli, si mette a urlare contro un compagno che non taglia, ma il suo coach, Jason Kidd, gli dà una carezza. Sa che non fallirà quando c’è da decidere chi vince e chi perde, e lui risponde presente, trovando i canestri che solo lui riesce a realizzare, appena ventenne, con quell’aria da burlone e di bambino monello, facendo sembrare le cose più difficili semplici e naturali. Oscurando per un momento un altro dei migliori giocatori al mondo, con un po’ più di anni alle spalle e svariati anelli in più, l’idolo incontrastato dei San Franciscani e non solo: Steph Curry.

La partita finisce 90-93 (Doncic ne fa 34, Curry 27) e la fila si moltiplica una volta fuori, alle porte dello shop dei Warriors. Gli incassi, anche stasera, sono da capogiro.