Un lungo lavoro di cucitura, attenzione, pazienza. E un sarto a dirigere i lavori, uno dei più navigati nel mondo del basket femminile, perché con le donne non si può improvvisare. Se le Women della Dinamo Sassari, al terzo anno in serie A1 del campionato Techfind 2022/23, sono oggi al 4° posto con 17 vittorie (le ultime 8 consecutive) su 21 partite, è anche per merito del metodo e della personalità di Antonello Restivo. Il coach cagliaritano, classe 1975, vanta un lungo curriculum tra maschile e femminile. Ha allenato Sasha Djordjevic, ha lavorato con Phil Melillo e Zeljko Obradovic. Abbiamo ripercorso con lui le tappe del viaggio biancoblu al femminile e poi abbiamo spaziato su più fronti, in perfetto stile Basketland.
Atto primo – 2020/21
Restivo prende in mano la Dinamo dall’anno zero, quando la società di via Nenni decide di puntare anche sul basket rosa in piena pandemia. Un azzardo, ma anche una visione. “Inizia tutto tardi, perché il Covid non se l’aspettava nessuno, e noi ci buttiamo sul mercato solo a luglio, quando è praticamente chiuso e tutte le italiane erano già accasate – racconta il coach -. Allora facciamo la scelta di portare le italiane che avevo al San Salvatore Selargius (Cinzia Arioli, Giovanna Pertile, Margherita Mataloni, Delia Gagliano), più tre straniere (Kennedy Burke, Sierra Calhoun, Michaela Fekete). È stato un anno di sofferenze, ma riusciamo a salvarci al primo turno contro Broni, ed è stato incredibile”. E quella stagione pazzesca l’abbiamo raccontata qui.
Atto secondo – 2021/22
Si parte da una promessa: “Avanzare ogni anno di un gradino. Così il secondo anno teniamo Arioli e Pertile, poi prendiamo giocatrici di serie A1 come Giulia Moroni e Marida Orazzo, chiudiamo con straniere importanti (Shepard e Lucas) con l’ottica, sempre, di salvarci. Finisce che ci classifichiamo al 10° posto e giochiamo i play-out, vinti al primo turno 2-0″. Ma è anche l’anno della prima esperienza a livello internazionale in Eurocup. Step by step.
Atto terzo – 2022/23
Si alza la qualità, un po’ per mantenere fede a quella promessa, un po’ per fortuna. Si libera Debora Carangelo da Venezia e si riparte dalla sua esperienza. In più c’è la possibilità di avvalersi di una quarta straniera e si costruisce una squadra più completa. “La sensazione all’inizio era che si potevano porre le basi per giocare una pallacanestro importante, ma la squadra è andata oltre qualsiasi aspettativa, per di più con una continuità disarmante. Siamo a 8 punti dalla 5° e a 12 dalla 6°, e a soli 2 punti dalla 3° e a 4 dalla 2°. Dal punto di vista dell’Eurocup, volevamo migliorare anche in quella competizione, e abbiamo vinto a Londra. Certo, ci sono i presupposti, la società è organizzata, con gli anni è aumentato il budget e ci siamo allineati alle tempistiche del mercato femminile. Ma la cosa più bella che stiamo facendo è conquistare il riconoscimento da parte delle persone, lo senti nei ristoranti, andando al palazzetto. Il pubblico aumenta ad ogni partita e sempre più persone stanno apprezzando la pallacanestro femminile. Anche sui social c’è maggior interazione”.
Ma Carangelo, come l’avete convinta?
“Inizio con una premessa: voglio sempre delle giocatrici con delle motivazioni enormi. Debora l’ho seguita per tanti anni, è il miglior play che abbiamo in Italia, lo dimostrano anche le cifre di quest’anno. Quando lei si è liberata da Venezia dopo 10 anni, ho pensato che fosse il profilo giusto: aveva gran voglia di rivalsa e di giocare. Era il nostro primo obiettivo. Allo stesso modo, abbiamo cercato atlete che l’anno prima avessero giocato poco ma con un entusiasmo contagioso. Il risultato è che ogni partita che vinciamo la festeggiamo come se fosse una vittoria di Coppa del mondo. Le nostre giocatrici hanno fame, ma dietro c’è un’idea di pallacanestro: la ricerca del passaggio in più, di sacrificarsi in difesa, il desiderio di voler stare in palestra. Carangelo ha sposato fin da subito quest’idea, sta ripagando in campo quello che ci siamo detti quest’estate, poi è super sorridente, sta facendo la miglior stagione. Lei non mi conosceva ma ci siamo trovati con la stessa voglia di fare. Lei dà tanta personalità, è molto carismatica. Senza dubbio una delle più belle scelte azzeccate sul versante femminile. Poi alza tanto anche l’intensità difensiva. Lavora duro, ha la mentalità vincente“.
C’è stato un momento nei primi 2 anni in cui ha vacillato o sei sempre stato convinto che sarebbe stato possibile arrivare ai livelli di quest’anno?
“No, ma forse dipende anche dal mio carattere. Anche dopo 10 sconfitte di fila, ero sempre tranquillo. Non ho mai pensato a risvolti negativi. La cosa più importante è l’approccio durante la settimana e con giocatrici. Non deve mai mancare il sorriso”.
C’è qualche sassolino che vuoi toglierti?
“Uno: l’anno scorso siamo stati etichettati come Shepard e Lucas dipendenti, invece quest’anno ci siamo tolti un’altra soddisfazione, quella di creare una squadra completamente opposta, dove tutte sono protagoniste. Ci sono state partite dove sono andate in sei in doppia cifra”.
Questa è la squadra più forte che ha allenato? Forse insieme alla Russo che navigava ai piani alti della B2..
“Probabilmente sì, dopo quella che avevo costruito il 2° anno al Cus. E questa squadra effettivamente è simile alla Russo, molto equilibrata, con situazioni che a me piacciono, come la ricerca del passaggio in più. Mi chiamano allenatori, da Pozzecco a Cavina, che mi dicono: “Sembra veder giocare il Brasile”. E davvero son troppo belle da vedere. Stanno bene anche fuori dal campo. Hanno fame di successi e la faccia di culo. Facciamo allenamenti intensi, c’è rispetto e onestà intellettuale tra di noi, ci difendiamo a vicenda.
Qual è la vittoria che ti ha dato più soddisfazione?
“Londra di sicuro, perché è stata una partita bellissima, ricordo le facce delle ragazze, tutte concentrate. Nessuno ci credeva, solo noi e le ragazze. Ma vorrei menzionare anche la vittoria di quest’anno contro Ragusa all’andata: quella partita ci ha fatto capire che potevamo fare molto bene. In un momento importante di Ragusa, tra l’altro. Dopo quella partita abbiamo cambiato faccia, abbiamo capito che potevamo osare”.
Il fatto che il pubblico sta pian piano riempiendo sempre di più il Palazzetto non è un caso, anche perché lo stesso sta succedendo negli altri campi in Italia..
“Sì, sta crescendo l’attenzione verso il basket femminile: è sempre più seguito perché si è alzato molto il livello e la qualità delle squadre. La partita Virtus Bologna-Famila Schio ha portato al PalaDozza oltre 2mila persone, l’anno scorso erano 3mila per la finale scudetto. Venezia fa bei numeri, anche Geas e Campobasso. Per la partita contro la Virtus del 19 marzo ci aspettiamo al PalaSerradimigni oltre 1000 persone. Ci stiamo facendo travolgere piacevolmente da un’ondata di sport femminile. Io adesso guardo anche il calcio femminile, per dire. Certo, bisogna crescere su tutti i fronti, fare in modo che le atlete abbiamo le giuste tutele, contratti seri, congedo di maternità assicurata. Possiamo fare di più. Dovremmo avere tutti una missione comune: far capire quanto è bella la pallacanestro femminile”.
Perché Cagliari non riesce a fare altrettanto in questi anni, cosa manca secondo te?
“C’è troppo astio e nessuno riesce a capire che se si imparasse a collaborare e alzare la qualità del movimento, a livello di numeri sarebbe bello per tutti e ci sarebbe anche più lavoro, per tutti. Anche quando giocavo io, notavo un certo astio tra le società, invece Cagliari deve cercare di alzare la qualità, oltre che trovare imprenditori. Dispiace che il movimento femminile quest’anno veda in difficoltà il Cus, così come spero che la Virtus riesca a tornare in serie A. Le prime squadre sono importanti, devono trascinare tutto il settore. Quindi semplicemente si dovrebbero mettere da parti rancori e fisse mentali, piuttosto pensare solo al movimento. Portare le giovanili alle partite. Essere tifosi di basket”.
Perché ci sono poche allenatrici donne?
“Non è facile rispondere a questa domanda. Fare l’allenatore è un mestiere che ti assorbe completamente, stai 24h sul pezzo, forse è questione di volontà. In America ci sono molte donne, alcune allenano anche squadre maschili, ci arriveremo”.
Sei stato molto legato ad Alphonso Ford…
“Mi trattava come un fratello minore. Prima di morire, ci sentivamo ogni giorno, lui in America, io in Italia. Aveva scritto una lettera che la moglie Paola mi fece arrivare: c’erano scritte tantissime cose, finiva con ‘Forever brothers’. Sarebbe dovuto tornare il secondo anno a Pesaro, dovevamo farci insieme un tatuaggio. In uno dei suoi ultimi messaggi mi scrive: Quando sarò su farò il tatuaggio. Io mi son tatuato ‘Brothers’. In trasferta mi porto sempre la sua maglia”.
Cosa ti ha lasciato Obradovic?
“Mi ha insegnato molto a entrare sui dettagli delle cose, dei blocchi, dei tagli e delle spaziature. Da lui e Phil Melillo ho imparato tanto. Una sua frase mi è rimasta particolarmente, e la uso quando le mie giocatrici si incartano in attacco, specialmente al play dico: Cambia gioco ed enjoy basketball! Alla fine si tratta di divertirsi.
Immagine di copertina di Simone Boi.